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Vietnam: da Ho Chi Min a Xi Jinping, traiettoria d’un Paese

Scritto per Il fatto Quotidiano del 29/01/2021

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Un’economia per molti versi spregiudicatamente capitalista, una politica rigidamente comunista, senza troppo curarsi della libertà di espressione e del diritto al dissenso. Non c’è solo la Cina che risponde a queste coordinate: anche il Vietnam, spesso in contrasto con il suo potente e scomodo vicino, fa coesistere aperture economiche e chiusure politiche. Una linea che il congresso in corso del Partito comunista vietnamita pare avviato a confermare, specie dopo avere ottenuto riconoscimenti internazionali sul fronte della pandemia da coronavirus.

Il Vietnam ha finora registrato 1.500 contagi e 35 decessi, con una popolazione di circa 86 milioni di abitanti e una superficie analoga a quella dell’Italia – e, quindi, una densità molto maggiore -. Nell’analisi del Lowy Institute, un centro studi australiano, il Vietnam è sul podio mondiale della migliore gestione della pandemia, immediatamente dietro la Nuova Zelanda – immancabilmente prima, in tutte le classifiche mondiali positive – e a pari merito con Taiwan. L’Italia è al 59° posto, appena dietro la Germania, su 98 Paesi censiti; gli Usa sono al 94°, il Brasile è ultimo.

Certo, l’inclinazione asiatica alla disciplina e al rispetto delle disposizioni ha il suo peso; e uno può anche pensare che le autorità di Hanoi non siano proprio trasparenti nel comunicare i loro dati. Ma governo e partito hanno affrontato la pandemia con grande fermezza. E i risultati ci sono stati, consentendo alle due principali figure del regime, il presidente della Repubblica e capo del partito Nguyen Phu Trong e il premier Nguyen Xuan Phuc, di arrivare al congresso in posizioni di forza. Tanto più che l’economia ha continuano a espandersi lo scorso anno – il Pil è cresciuto del 2,9% -, nonostante tutte le altre ‘tigri’ del Sud-Est asiatico abbiano subito contrazioni.

I dati positivi apparentemente stridono con la repressione del dissenso e un giro di vite al controllo dell’informazione: tre noti giornalisti sono stati arrestati e imprigionati a gennaio, per delitti contro la Stato, e il numero dei prigionieri di coscienza – in pratica, dei dissidenti – è più che raddoppiato, da 84 a 170, tra un congresso del Partito e l’altro, cioè dal 2016 e oggi. Ma gli attivisti pro diritti dell’uomo non vedono un contrasto: il governo, il partito, i leader si sentono al di sopra di critiche e proteste.

Con i congresso, il partito comunista del Vietnam deve rinnovare la sua leadership – ma molte saranno le conferme – e decidere a chi affidare la gestione delle relazioni con una Cina immanente ai confini settentrionali e sempre più assertiva nella sua politica di egemonia, militare oltre che politica, nel Sud-Est asiatico e nel Mar cinese meridionale. Pure i rapporti con gli Stati Uniti sono ‘caldi’, segnati da tensioni commerciali che non saranno automaticamente superate con il cambio della guardia alla presidenza tra Donald Trump e Joe Biden.

Se il Vietnam non è più quello di Ho Chi Minh e del generale Giap, e guarda alla Cina di Xi Jinping con un misto di spirito d’emulazione ed invidia, l’America ha ormai smesso di nutrire sensi di colpa nei suoi confronti: i protagonisti del conflitto sono ormai ultra-settantenni, in massima parte fuori dalle stanze dei bottoni.

Apertisi martedì e destinati a durare fino al 2 febbraio, i lavori del congresso si svolgono al National Convention Center di Hanoi e sono assolutamente blindati: si svolgono in larga parte a porte chiuse, con fuori misure di sicurezza eccezionali.

Numerosi i posti chiave da rinnovare. Trong, il capo del partito, che dal 2018 copre pure le funzioni di capo dello Stato, mira a essere confermato per un altro termine alla guida del partito, anche se non dovrebbe mantenere il doppio incarico.

Un rinnovo del mandato di Trong, 76 anni, conservatore e vicino alla leadership cinese, darebbe impulso alla sua campagna anti-corruzione che sta colpendo il partito, la polizia e le forze armate. “Negli ultimi cinque anni, c’è stato un incremento misurabile del livello di repressione nel Paese”, non solo dei diritti e delle critiche, ma anche dei reati, spiega all’Afp Jonathan London, un esperto di Vietnam di un think tank olandese. E ciò riflette l’agenda di Trong per una maggiore disciplina nel partito e nel Paese.

Pure il premier Phuc, 66 anni, vuole restare al suo posto –potrebbe in alternativa fare il presidente-: è forte dei risultati raggiunti sul fronte della crescita economica e dell’integrazione del Vietnam nel sistema economico internazionale, con la partecipazione all’Asean, il ‘mercato comune’ del sud-est asiatico e con una serie di accordi commerciali internazionali. Ed è lui a guidare la robusta risposta del Vietnam all’epidemia da coronavirus.

Quali che saranno le scelte delle persone, non dovrebbero esserci cambi di politica significativi: avanti con le aperture economiche, ma non accompagnate da aperture verso il pluralismo politico, vivendo la costante contrapposizione tra vicinanza alla Cina – non solo geografica – e competizione con essa anche nel Mar cinese meridionale.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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