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Afghanistan: Trump fa accordo con talebani che è una resa

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 01/03/2020

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Adesso nessuno si aspetti che in Afghanistan scoppi la pace, dopo quasi 19 anni di guerra e lutti, centinaia di migliaia di vittime, militari, insorti, soprattutto civili. Anzi, c’è da temere che i nemici dell’intesa ieri siglata tra americani e talebani – e ce ne sono molti, in tutti i campi – rendano esplicito il loro dissenso con agguati e attentati: le città e le campagne dall’Afghanistan resteranno uno dei posti meno sicuri al Mondo

L’accordo finalmente firmato a Doha, dopo vari rinvii e rialzi della tensione drammatici, a negoziati in corso, prospetta il definitivo ritiro dell’Afghanistan delle truppe Usa, che entrarono nel Paese, allora in mano ai talebani, che proteggevano al Qaida, nell’ottobre 2001, dopo l’attacco all’America dell’11 Settembre. Con i militari statunitensi, se ne andrà pure il contingente internazionale Nato, cui l’Italia dà un contributo essenziale.

Il patto di Doha, subito definito “storico” dall’Amministrazione statunitense, impegna Washington a ritirare le proprie truppe entro 14 mesi ed a cominciare a farlo subito, riducendo il contingente da 14 mila a 8600 uomini – meno 5.400 -. L’intesa prevede anche uno scambio di prigionieri.

A riprova della diffidenza che persiste fra americani e talebani, il segretario di Stato Mike Pompeo ha avvertito che gli Stati Uniti “non esiteranno ad annullare l’accordo” appena concluso se i ribelli non rispetteranno a loro volta i loro impegni in tema di sicurezza: devono rompere con al Qaida, ancora presente sul territorio afghano, insieme a miliziani dell’Isis in rotta da Iraq e Siria; e avviare, entro il 10 marzo, negoziati di pace con il governo di Kabul, rimasto estraneo alla trattativa andata ora in porto e condotta, per parte americana, dall’ambasciatore Zalmay Khalilzad.

Nell’ultimo anno, l’intesa era parsa a più riprese vicina. In agosto, i talebani doveva addirittura essere ricevuti da Donald Trump a Camp David. Ma qualcosa era sempre andato storto in extremis.

In una dichiarazione diramata ancor prima della firma, Trump espone, sia pure con qualche misura, il gran pavesi: “Se i talebani e il governo afghano – messi sullo stesso piano, ndr – saranno all’altezza degli impegni, avremo un percorso ben tracciato verso la fine della guerra in Afghanistan e per riportare a casa le truppe”.

Per il magnate presidente, “l’intesa è un passo importante per una pace durevole in un Afghanistan nuovo, libero da Al Qaida, dall’Isis e da ogni altro gruppo terroristico impegnato a colpirci”. Quanto al popolo afghano, Trump lo invita “a cogliere questa opportunità per la pace e per un nuovo futuro del suo Paese”. Nel giorno delle primarie in South Carolina, il candidato Trump vuole evidenziare “progressi sostanziali” verso il mantenimento delle promessa elettorali “di porre fine a una guerra durata 19 anni e di portare a casa i ragazzi”.

Tutti plaudono e preconizzano “una soluzione politica” ai problemi afghani: l’Ue – “importante passo avanti” – e l’Italia –“ora negoziati inclusivi” -, l’Onu e la Nato.

Ma gli sviluppi afghani presentano aspetti critici. Il New York Times nota che “gli sforzi americani per creare un sistema democratico nel Paese, così come per migliorare le opportunità per le donne e le minoranze, saranno messi a rischio se i talebani, che bandirono le ragazze dalle scuole e le donne dalla vita pubblica, torneranno a essere dominanti. La corruzione resta rampante, le istituzioni sono deboli e l’economia è pesantemente dipendente dagli aiuti americani e internazionali”. C’è pure l’incognita di quel che faranno il presidente Ashraf Ghani, appena riconfermato, e il suo governo, fin qui tenuti – come detto – ai margini del processo negoziale.

Paolo Liebl von Schirach, presidente del Global Policy Institute, un think tank di Washington, parla della “infelice conclusione della più lunga guerra nella storia americana”: “Non ci ritiriamo – dice – dopo avere vinto, ci ritiriamo dopo avere perso. L’America non ha negoziato da posizioni di forza con talebani mal ridotti e demoralizzati, ma ha negoziato una via d’uscita da una guerra che non poteva vincere contro un nemico implacabile … In sostanza, questa è una resa Usa…”.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche.Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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