Guerre, punto – Mi piace sperare che questa sia l’ultima volta che scrivo della guerra a Gaza, del massacro di decine di migliaia di civili nella Striscia dopo le criminali incursioni terroristiche del 7 ottobre 2023 di Hamas e di altri gruppi palestinesi in territorio israeliano (circa 1200 vittime e circa 250 persone sequestrate, una cinquantina delle quali devono ancora essere restituite alle loro famiglie).
Mi piace sperare che la prossima settimana possa scrivere di tregua raggiunta, di ostaggi liberati, di flussi di aiuti ripresi e di prospettive di ricostruzione. Ma non ne sono affatto sicuro, anche se c’è ottimismo sui negoziati in corso a Sharm-el-Sheikh, in Egitto, a partire dal piano di pace in venti punti concordato lunedì 29 settembre tra il presidente Usa Donald Trump e il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
Il primo round dei colloqui a Sharm si era concluso “in un clima positivo”, secondo fonti arabe. Ci si concentra sui primi punti del vasto piano: la restituzione degli ostaggi tuttora detenuti e lo stop alle ostilità; il ripristino del flusso degli aiuti umanitari; l’inizio del ritiro delle forze israeliane.
L’ottimismo è soprattutto alimentato dal presidente Trump, che, a suon di post del suo social Truth e di ripetute dichiarazioni, insiste che un’intesa è vicina, che sarà domani, entro la settimana, magari all’inizio della prossima. Dietro l’ansia di Trump, c’è la sua ossessione di vedersi attribuire il Nobel per la Pace – l’annuncio a Oslo questo venerdì 10 ottobre -. In una conversazione telefonica, Trump – riferiscono fonti di stampa – avrebbe contestato a Netanyahu l’approccio “fottutamente negativo”. E il New York Times racconta che Trump è riuscito a ottenere l’avallo di Netanyahu al piano, solo enfatizzando la sua irritazione per l’attacco israeliano al Qatar del mese scorso.
Guerre: Ucraina, l’escalation dei Tomahawk
Come spesso avviene da due anni in qua, cioè da quando il nostro Mondo viaggia sui binari paralleli delle guerre in Ucraina e in Medio Oriente, i segnali di pace su un fronte s’accompagnano all’inasprirsi del conflitto sull’altro. La fine dell’invasione dell’Ucraina, che pareva prossima dopo l’illusorio vertice di Ferragosto in Alaska tra Trump e il presidente russo Vladimir Putin, è ora più lontana che mai.

I bombardamenti russi con droni e missili, di nuovo vicino alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, e le risposte ucraine su obiettivi russi crescono d’intensità; i combattimenti lungo la linea del fronte proseguono – e i russi vantano la conquista di villaggi -; e Trump ha preso una decisione – s’ignora quale – sull’invio a Kiev di missili Tomahawk a lungo raggio, ma, prima di renderla pubblica, vuole sapere “come sarebbero utilizzati” (e non è neppure chiaro se gli Usa li darebbero all’Ucraina o se gli europei della Nato dovrebbero comprarli dagli Usa e darli all’Ucraina).
La reazione del Cremlino è stata immediata: la consegna di Tomahawk all’Ucraina segnerebbe “un’escalation seria”, perché “si tratta di missili che possono portare testate nucleari”, osserva Dmitry Peskov, il portavoce di Putin. E mentre gli Stati Uniti non parlano di sanzioni a Mosca, e anzi dialogano sulla proroga degli accordi nucleari, l’Unione europea, che ha appena varato l’ennesimo pacchetto di misure anti-Mosca, valuta se limitare i movimenti dei diplomatici russi: dovranno forse notificare in anticipo i loro spostamenti da uno Stato all’altro dell’Ue.
Guerre: MO: Gaza, i negoziati e i combattimenti
Il mandato dei negoziatori statunitensi Steve Witkoff, l’inviato speciale per il Medio Oriente, e Jared Kushner – i suoi titoli: è ricco, è ebreo ed è il genero del presidente – è chiaro: cercare di raggiungere un accordo che preveda, in una prima fase, almeno la restituzione di tutti gli ostaggi, vivi o morti che siano, e un cessate-il fuoco.
Le trattative si svolgono senza incontri diretti tra le delegazioni israeliana e palestinese: i contatti sono mediati dai negoziatori egiziani, qatarioti e statunitensi. Come contropartita al rilascio degli ostaggi, Hamas pretende la liberazione di centinaia di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, fra cui 250 ergastolani, e l’inizio del ritiro dalla Striscia dell’esercito israeliano, in coincidenza con la consegna dell’ultimo ostaggio.

L’organizzazione terroristica palestinese accetterebbe, secondo fonti di stampa arabe, di consegnare le armi all’Egitto e che i suoi leader lascino la Striscia, a fronte di garanzie sulla loro incolumità futura. Gli assetti della Striscia saranno probabilmente oggetto di successive trattative: non piace l’idea di affidarne l’Amministrazione a un’entità non palestinese, ma internazionale, sotto la guida dell’ex premier britannico Tony Blair, che potrebbe solo avere un ruolo di supervisione a distanza.
Ma non siamo ancora lì. Resistenze all’accordo persistono tra l’ala politica e quella militare dell’organizzazione terroristica, pur incrinate dalle pressioni di Paesi arabi e musulmani, e, soprattutto, in seno al governo israeliano. Gli estremisti religiosi ultra-ortodossi, che sono essenziali a garantire la maggioranza all’esecutivo, non vogliono cessare le ostilità; e, infatti, combattimenti e uccisioni continuano, dopo che Trump, sabato, ne aveva esplicitamente chiesto lo stop a Netanyahu.
Secondo le autorità di Gaza, nella giornata di sabato ci sono stati 230 attacchi aerei sulla Striscia e circa 120 vittime. E, nei giorni successivi, bombardamenti e combattimenti sono proseguiti, facendo decine di vittime ogni giorno. “L’occupazione israeliana continua la sua brutale aggressione contro il popolo palestinese, ignorando gli appelli per un cessate-il-fuoco del presidente Trump e la nostra risposta positiva”, recitano post su Telegram di Hamas sostanzialmente ripetuti di giorno in giorno.
Il totale delle vittime del conflitto nella Striscia di Gaza supera ormai le 67 mila fra i palestinesi, soprattutto donne e bambini, a fronte di oltre mille caduti fra i militari israeliani. Bisogna poi contare le vittime in Libano, in Siria, in Iran e nello Yemen. I media Usa segnalano un’impennata dei casi di stress post trauma e di suicidi fra i militari protagonisti della devastazione di Gaza.
Guerre: MO, Israele, il secondo anniversario del 7 ottobre 2023

Nel secondo anniversario del 7 ottobre 2023, a due anni dalle stragi terroristiche che innescarono il conflitto, ci sono state manifestazioni in Israele e in tutto il Mondo. Per un giorno, il Forum delle famiglie degli ostaggi e dei dispersi ha sospeso le proteste contro Netanyahu e il governo per dare spazio al ricordo e al cordoglio.
La sorte degli ostaggi ancora trattenuti nella Striscia è il primo punto nodale delle trattative in corso a Sharm-el-Sheick. Intervistato dal commentatore politico conservatore Ben Shapiro, Netanyahu ha detto che gli ostaggi a Gaza sono 46, e non 48 come spesso si sente, 18 in vita, gli altri deceduti. Il Forum chiede chiarimenti in merito, ma non inasprisce le polemiche in questa fase: dei familiari degli ostaggi hanno persino raccomandato la candidatura di Trump al Nobel per la Pace.
Il magnate presidente ha celebrato la cupa ricorrenza ricevendo alla Casa Bianca Edan Alexander, 21 anni, originario del New Jersey, genitori israeliani, che è stato il primo militare israeliano rilasciato da Hamas. Alexander aveva già incontrato Trump a luglio.
Le cerimonie di commemorazione hanno seguito un fine settimana di manifestazioni in molti Paesi indette a sostegno dei volontari della Flotilla intercettata da Israele in acque internazionali – molti degli attivisti sono già rientrati nei rispettivi Paesi, dopo essere stati arrestati ed espulsi – ed anche nel segno di ‘stop al genocidio’ ed a sostegno delle aspirazioni dei palestinesi a un proprio Stato. Ma le cronache recenti sono anche state segnate dall’attacco con vittime alla sinagoga di Manchester: “L’azione non violenta della Flotilla e l’azione criminosa di Manchester sono agli estremi opposti delle risposte possibili a una tragedia planetaria”, osserva nei suoi Appunti Stefano Feltri.
“Devastata dalla guerra, la gente di Gaza cerca di sopravvivere al presente e spera nel futuro – riferiva un reportage del New York Times dalla Striscia -… Due anni di conflitto senza quartiere hanno reso disgregata e caotica la vita sociale… La distruzione è estesa e molti abitanti di Gaza hanno cicatrici mentali e fisiche che potrebbero segnare una generazione”. Cosa che dicono, nell’anniversario delle loro cattura, anche gli ostaggi sopravvissuti e tornati a casa: “La pace ci sarà, ma, dopo quello che è successo, non la vedrà la nostra generazione”.
Nell’analisi del Wall Street Journal, Israele, dopo due anni di guerra, “è più forte che mai, ma anche più isolata che mai”: “La guerra nella Striscia ha un impatto negativo globale e compromette le prospettive di Israele a lungo termine”. Anche l’opinione pubblica statunitense, tendenzialmente più filo-israeliana di quella europea, considera, in maggioranza, che Israele sia andato ‘troppo in là’ nella reazione al 7 ottobre 2023 ed è ormai incline al 40% a definire ‘genocidio’ i massacri di Gaza.
Ma Netanyahu non ne pare preoccupato: intervistato da Euronews, il premier invita a “non dare da mangiare al coccodrillo, perché verrà a cercarvi” e critica l’Europa che “ha ascoltato la propaganda islamista”. Israele, però, è divisa al proprio interno: il premier è conscio del rischio che, superato lo stato di guerra, il sostegno gli venga a mancare.
MO: Gaza, la scossa dalla risposta di Hamas, positiva, ma condizionata
La ripartenza del negoziato è stata resa possibile dalla risposta positiva, ma condizionata, di Hamas al piano di pace Trump / Netanyahu: una risposta arrivata venerdì 3 ottobre da una Striscia di Gaza ormai ridotta a un cumulo di macerie. Il giorno prima, Trump aveva lanciato una sorta di ultimatum ad Hamas: se non avesse accettato il suo piano entro il week-end, si sarebbe “scatenato l’inferno”.
Subito dopo il ‘sì, ma’, il magnate presidente aveva invece postato sul suo social Truth un video eccezionalmente positivo: “E’ un grande giorno, un giorno speciale, forse senza precedenti”, diceva con le consuete iperboli (e sempre pensando al ‘suo’ Nobel). Trump ringraziava i Paesi che contribuiscono agli sforzi di pace; e assicurava che tutte le parti “saranno trattate in modo equo”: “Siamo stati tutti uniti nel volere la fine della guerra e la pace… E siamo molto vicini a conseguire” questi obiettivi.
E il presidente pubblicava anche una mappa – più dettagliata di quella già diffusa – sulle modalità del ritiro israeliano: vi si vedeva chiaramente Rafah rimanere sotto il controllo israeliano, così come il corridoio Filadelfia e Beit Hanoun. A giudizio di esperti, il ritiro si limiterebbe a un arretramento dell’esercito israeliano sulle posizioni tenute prima dell’offensiva su Gaza City del mese scorso, quando già il 70% della Striscia era sotto il controllo israeliano.
I commenti di Trump – dicono fonti di stampa israeliane – sorprendevano e spiazzavano Netanyahu, piuttosto incline, invece, a leggere in negativo la risposta di Hamas, ma pronto ad allinearsi. A cascata, erano poi arrivati i commenti positivi delle organizzazioni internazionali e dei Paesi di mezzo Mondo.
Più articolate le valutazioni dei media. Appariva positivo che Hamas accettasse, in modo esplicito, di rilasciare tutti gli ostaggi rimasti nelle sue mani. Per la Cnn, “Israele e Hamas sono pronti ad andare avanti con il piano di pace di Trump: entrambe le parti segnalano di volerne attuare la prima parte, la restituzione degli ostaggi e la cessazione dei combattimenti”.
Hamas giudica, però, irrealistico, nelle condizioni attuali, cioè imperversando bombardamenti e combattimenti, il termine di 72 ore per la restituzione degli ostaggi, non si impegna al disarmo e vuole discutere il futuro assetto della Striscia, accettando l’idea di un’amministrazione tecnica transitoria, ma senza riferimenti al ‘Board of Peace’ presieduto da Trump e guidato da Blair. Hamas, inoltre, chiede un immediato ritiro delle forze israeliane, che il piano prevede, invece, graduale senza tempi certi.