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Referendum 8/9 giugno: il quorum e la crisi della partecipazione

Scritto per lo Speciale Referendum de Il Settimanale il 31/05/2025

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Il Settimanale, speciale Referendum – Il referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno affronta quesiti controversi e attuali. Ma c’è un’altra soglia da superare, prima ancora dello spoglio sui contenuti: quella della partecipazione. È il quorum, meccanismo previsto dall’articolo 75 della Costituzione italiana, che da tempo solleva interrogativi sulla tenuta della democrazia diretta in Italia e su quale significato abbia oggi, per i cittadini, l’atto stesso del voto.

Il quorum stabilisce che almeno il 50% più uno degli aventi diritto debba recarsi alle
urne affinché il voto sia valido. La logica è chiara: impedire che una minoranza attiva
possa cancellare una legge senza un adeguato consenso popolare. Ma in un Paese
segnato da un astensionismo strutturale, questa soglia può diventare un limite che
svuota il significato stesso della consultazione.

Negli ultimi nove referendum nazionali, solo uno ha superato il quorum. Un dato che
riflette la crescente difficoltà nel mobilitare l’elettorato su temi complessi. Anche in
questa tornata referendaria, l’astensione viene incoraggiata come strategia politica:
alcuni esponenti del centrodestra, tra cui il presidente del Senato Ignazio La Russa,
hanno dichiarato di voler fare “propaganda per il non voto”, puntando al fallimento per
via della mancata partecipazione.

Uno strumento pensato per allargare la base democratica rischia così di essere
utilizzato per neutralizzarla. Il referendum serve infatti a ratificare un’idea politica già
condivisa da gran parte della popolazione: in questo senso, la società anticipa la
politica. Perché il quorum sia raggiunto, è però necessaria una maturazione collettiva
sui temi in gioco.

La storia lo conferma: i referendum con maggiore affluenza — tra cui quelli su forma
istituzionale (1946), divorzio (1974), aborto (1981), e acqua pubblica (2011) —
riguardavano questioni profondamente sentite e dibattute, e causa di forti divisioni
nel tessuto sociale. Nel mondo iperconnesso di oggi, dove i nuovi media moltiplicano
gli spazi di espressione e confronto, è legittimo interrogarsi sul perché certi temi
“caldi”, ad esempio la cittadinanza ai figli di immigrati, restino voci di sottofondo, senza
tradursi in scelte consapevoli e partecipazione concreta.

Referendum 8/9 giugno: le alternative al quorum

Visto il progressivo svuotamento di efficacia del referendum, occorre ragionare sul
modo con cui si potrebbe invertire – o quantomeno mitigare – un trend caratterizzato
non solo da bassa affluenza, ma anche da un voto che, se viene espresso, non incide.
Diverse sono le alternative, come l’introduzione di un quorum dinamico, basato
sull’affluenza media o proporzionato ai votanti attivi; oppure, come accade in Svizzera,
la sua eliminazione. Sebastiano Messina scrive sull’Espresso: “La soluzione c’è.
Abolire il quorum. Semplicemente. Se la maggioranza degli italiani non è interessata
al quesito, è giusto che decidano quelli che lo sono”.

Ma oltre alla questione tecnica, è il senso stesso del referendum che va ripensato.
Come ricorda Domani, “il quorum è diventato un comodo alibi per sottrarsi al
confronto”, e la strategia dell’astensione ha cominciato a consolidarsi con la famosa
indicazione di Silvio Berlusconi di “andare al mare” durante il referendum del 2003.

Forse è in atto un ripensamento radicale da parte del cittadino sul suo modo di
partecipare alla vita politica: le varie forme di attivismo estremista come Ultima
Generazione, i boicottaggi e le proteste ne sono l’esempio. Il problema è quindi
complesso e svela un’impalcatura democratica sempre più fragile, che fatica a
sensibilizzare attivamente la popolazione al voto e talvolta vede gli stessi enti politici
sabotare i “diritti e doveri” sanciti dalla Costituzione.

Il referendum, pensato per dare voce diretta al cittadino, oggi si ritrova in bilico tra
disillusione e trasformazione. Interrogarci sul suo funzionamento è necessario. Ma
ancora più urgente è ricostruire il legame — oggi indebolito — tra cittadino e
decisione pubblica.

di Andrea Bilotta, Alessandra Fioravanti e Joaldo N’Kombo

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche.Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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