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Ucraina: punto, i leader al fronte, intrecci spionaggio / diplomazia

Scritto, in versioni diverse, per La Vioce e il Tempo uscito il 20/04/2023 in data 23/04/2023, per il Corriere di Saluzzo del 20/04/2023, per The Watcher Post del 20/04/2023 https://www.thewatcherpost.it/news/ucraina-punto-intrecci-tra-spionaggio-e-diplomazia-armi-e-sanzioni/ e per il blog di Media Duemila del 20/04/2023 https://www.media2000.it/ucraina-intrecci-tra-007-e-feluche-armi-e-sanzioni/

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Che sia la Pasqua cattolica, che sia la Pasqua ortodossa, le cronache di guerra dall’Ucraina portano l’eco di morte delle esplosioni, non quella di speranza delle campane. Martedì 18, bombe russe sono cadute sul mercato di Kherson, dopo che il presidente russo Vladimir Putin aveva visitato – non è però chiaro quando – il quartier generale russo situato sulla riva sinistra del fiume Dnipro.

Pure il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è stato al fronte nei giorni scorsi, ad Avdiivka, uno dei punti più caldi con Bakhmut, dov’è battaglia continua: i mercenari del Gruppo Wagner affermano di avere conquistato altri due quartieri della città in macerie. Gli 007 britannici pensano che le truppe ucraine si stiano ritirando, ma Kiev e i Wagner smentiscono.

Zelensky e il premier britannico Rishi Sunak chiedono che i Paesi della Nato intensifichino e accelerino l’invio di armi all’Ucraina. Londra insiste sulla “guerra lunga”, un mantra dell’Occidente da un anno in qua. Una guerra che, a giudizio di diversi osservatori, la Russia ha già perso: sul fronte delle operazioni, perché non ha raggiunto i suoi obiettivi territoriali; e sul fronte interno, perché il conflitto sta determinando un’involuzione della società, paranoide e nazionalista.

Putin non intende deflettere dall’opzione militare, ma insuccessi e disfatte ne avrebbero ormai intaccato l’autorità nel gotha russo: l’analisi è dell’intelligence statunitense, che però – come vedremo – mostra falle e pecche, in questa fase. A Mosca, si teme che l’invasione dell’Ucraina sfoci in una fase di dispute interne e di isolamento internazionale.

Attualmente, la Russia controlla il 17% circa del territorio ucraino, meno di un sesto – un anno fa, ne occupava di più -. Dati dall’Istituto per lo Studio della Guerra citati dal Washington Post mostrano che, dopo l’iniziale avanzata, le forze russe non hanno mai preso in una settimana più di mille kmq.

La guerra paralizza la diplomazia internazionale, malgrado l’attivismo della Cina. Usa e Ue faticano a prendere atto che Pechino è ormai protagonista inevitabile sulla scena mondiale, politica ed economica, diplomatica e militare; e che tali pretendono di essere, nella sua scia, l’India di Modi, ormai divenuto il Paese più popoloso al mondo, che ha la presidenza di turno del G20; il Brasile di Lula, che a Pechino formula critiche agli Usa (“Non vogliono la pace”), in sintonia con il presidente cinese Xi Jinping; e il Sudafrica, che rifiuta la linea di Washington – sanzioni alla Russia e armi all’Ucraina -.

Quasi un paradosso: il ministro della Difesa cinese Li Shangfu si congratula con Putin perché “promuove la pace nel mondo”, parlando domenica al Cremlino al collega russo Sergei Shoigu. I ministri degli Esteri del G7, riuniti in Giappone, sventolano ‘cartellini gialli’ retorici e sterili alla Cina per “la crescente minaccia” alla sicurezza di Taiwan ed alla Corea del Nord, che ha ripetutamente testato missili a lunga gittata; e ribadiscono la volontà di rafforzare il sostegno all’Ucraina e di colpire la Russia con ulteriori sanzioni.

In viaggio nell’America latina ‘amica’, tra Brasile e Venezuela, Cuba e Nicaragua, il ministro degli Esteri russo Serguiei Lavrov afferma: “Risolveremo la situazione in Ucraina e altre crisi nel mondo attraverso i principi della Carta dell’Onu sullq sovranità degli Stati e l’indivisibilità della sicurezza … Vogliamo garantire che la Carta sia applicata integralmente e che il diritto all’autodeterminazione non sia soppresso quando fa comodo all’Occidente…”. Lavrov progetta un incontro con il segretario delle generale delle Nazioni Unite Antonio Guterrres – ad aprile, la Russia ha la presidenza di turno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu -.

Tanti fronti per un unico conflitto: spie e hacker, oppositori e contestatori
Il conflitto ha molti fronti, oltre a quelli militari e diplomatici. Martedì 18, il tribunale di Mosca ha rigettato il ricorso del giornalista americano del Wall Street Journal Evan Gershkovich contro l’arresto per spionaggio. Si creano i presupposti per uno scambio di detenuti ‘di pregio’ tra Russia e Usa, mentre Mosca e Kiev si restituiscono a vicenda, quasi ogni settimana, oltre cento prigionieri. Gershkovich respinge le accuse: il suo governo ne considera la reclusione “illegale”.

In Russia, con la riforma della Duma, l’alto tradimento d’ora in poi sarà punito con l’ergastolo: sono avviate oltre 5 mila cause per discredito delle forze armate. Un tribunale ha condannato l’oppositore Vladimir Kara-Murza a 25 anni di detenzione, la pena più aspra finora comminata per critiche all’ ‘operazione militare speciale’. Kara-Murza, giudicato colpevole di tradimento per la condanna dell’invasione dell’Ucraina, contesta le accuse in quanto “infondate, illegali e politicamente motivate”. L’oppositore, che scriveva commenti sul Washington Post, avrebbe collaborato con Usa e Occidente per elaborare sanzioni contro oligarchi e uomini di potere.

La notizia della condanna di Kara-Murza s’intreccia con quelle allarmanti sullo stato di salute del principale contestatore del Cremlino, Alexei Navalny, che, secondo fonti a lui vicine citate dai media occidentali, sarebbe stato avvelenato in carcere e avrebbe avuto un crollo fisico.

Ma il fronte interno più spinoso per Putin è – probabilmente – quello delle frizioni con il capo dei Wagner Yevgeny Prigozhin, secondo cui “l’ideale sarebbe annunciare la fine del conflitto e fare sapere a tutti che la Russia ha raggiunto i risultati desiderati“. Non è chiaro che cosa voglia Prigozhin: forse si prepara a sfruttare un eventuale fallimento militare russo in Ucraina, senza puntare il dito contro Putin, ma contro i “nemici interni” dello “Stato profondo”, che spingono il Cremlino a “fare gravi concessioni”, che equivalgono a “tradire gli interessi russi”.

L’irrequietezza di Prigozhin, non nuovo ad accuse all’apparato militare russo e ai suoi vertici, alimenta le consuete voci di un’atmosfera cupa al Cremlino, specie dopo la decisione della Cpi, la  Corte penale internazionale, di emettere un mandato d’arresto per Putin. Fonti ucraine, la cui attendibilità in merito è relativa, dicono che “si sta già cercando un suo successore”.

Secondo un esponente dell’intelligence militare ucraina, Andrey Yusov, la cerchia di Putin si sta riducendo “e sta diventando sempre più tossica”: “Nelle torri del Cremlino, cresce l’insoddisfazione per quanto sta accadendo … e la consapevolezza delle prospettive di collasso del regime … Si parla di trovare un successore a Putin, ma non è più lui a cercarselo”. Se questa lettura fosse corretta, solo una vittoria varrebbe al leader russo la sopravvivenza politica.

Il ‘pasticciaccio brutto’ dell’intelligence beffata da un giovanotto cospirazionista
A confondere le acque e rendere più difficile trovare il confine tra informazione e propaganda, c’è il ‘pasticciaccio brutto’ dell’intelligence Usa beffata da un giovanotto cospirazionista, tal Jack Teixeira, 21 anni, aviere della Guardia nazionale del Massachusetts, con (troppo?) ampio accesso a documenti riservati.

Dopo giorni d’indiscrezioni più o meno fantasiose e più o meno pilotate sull’origine della fuga, Teixeira è stato inizialmente individuato dal New York Times e successivamente arrestato e quindi incriminato per spionaggio davanti al tribunale di Boston. Rischia 20 anni di carcere, ma è già divenuto un idolo dei ‘trumpiani’ in funzione anti-Biden.

Nell’udienza di convalida dell’arresto e di rinvio a giudizio, è emerso che il giovane aviere aveva il nullaosta per documenti ‘top secret’ dal 2021, cioè da quando aveva 19 anni, dopo essersi arruolato a 17 anni, e che avrebbe fotografato i documenti dopo esserseli portati a casa (il che suscita perplessità sulle procedure di sicurezza in atto).

Teixeira il cospirazionista va così ad allungare la lista di ‘talpe’ abbastanza improbabili che, dal 2010 in poi, hanno compromesso la sicurezza statunitense: dal soldato idealista e attivista Bradley / Chelsea Manning, che nel 2010, quando aveva 23 anni, trasferì a Wikileaks migliaia di documenti sulle operazioni in Iraq all’analista Edward Snowden, che nel 2013, trentenne, consulente della National Security Agency, divulgò dei dettagli sui programmi di sorveglianza di massa statunitensi e britannici, salvo poi rifugiarsi in Russia.

Ammesso, naturalmente, che sia tutto vero. Perché l’arresto di Teixeira, che farebbe parte d’una rete di complottisti del web, è giunto dopo una settimana di reciproco ‘intox’ su origine e attendibilità delle informazioni pubblicate. Si calcola che siano circa 1,2 milioni le persone che negli Usa che hanno accesso a documenti confidenziali.

Dai cosiddetti Discord Leaks, dal nome della piattaforma di messaggistica dove sono stati inizialmente divulgati, emergono indicazioni disparate e talora contraddittorie. Due elementi paiono però assodati: la conferma che Washington mantiene attivi programmi di spionaggio delle comunicazioni di nemici e alleati indifferentemente – fra gli osservati speciali, Guterres e Zelensky -; e che è convinta che il conflitto ucraino non si risolverà a breve per via militare, ma che tenderà a divenire endemico.

Il resto sono brandelli d’informazione, non si sa quanto affidabili. L’intelligence Usa scrive che il conflitto in Ucraina ha falcidiato le forze speciali russe, inviate in prima linea per carenza d’uomini, e che ci vorranno anni per ricostruirle; che sarebbe in atto uno scontro tra Ministero della Difesa e servizi segreti russi; e che la rete di spie di Mosca in Europa, presa di sorpresa dall’invasione, ha subito notevoli danni, anche se conserva capacità operative “significative”.

Alcune informazioni vengono date e poi contraddette. S’era detto, ad esempio, che l’Egitto progettava in segreto di fornire armi alla Russia; ed emerge invece che il Cairo, ‘persuaso’ dagli Usa, avrebbe alla fine prodotto armi per l’Ucraina.

Il settimanale Newsweek estrapola previsioni del Pentagono sulla controffensiva ucraina, che era prevista per il 30 aprile, ma che sarebbe compromessa dalla carenza di mezzi e munizioni. Il fabbisogno calcolato sarebbe di 253 carri armati, 860 veicoli di vario genere e 147 pezzi d’artiglieria.

Nella zona di Bakhmut, i mercenari del Wagner sarebbero circa 22 mila, operativi al 70%, cioè più dei soldati russi regolari. L’intelligence statunitense ritiene che la città sia destinata a cadere sotto il controllo russo e che la sua perdita sarebbe un colpo per il morale delle truppe ucraine, ma non avrebbe effetti decisivi sull’esito della guerra.

Secondo il Washington Post, Mosca ha sperimentato per mesi un sistema di guerra elettronica, denominato Tobol, per cercare di interrompere le trasmissioni di Starlink in Ucraina e, quindi, di sabotare l’accesso a Internet da parte degli Ucraini, Starlink è il sistema satellitare messo a disposizione di Kiev dal miliardario Usa Elon Musk. Il documento citato dal giornale risale a marzo e non indica se i test russi abbiano avuto successo o meno.

Il programma Tobol era stato progettato per proteggere i satelliti del Cremlino, ma può essere usato anche per attaccare quelli avversari. SpaceX, proprietaria di Starlink, non ha finora commentato le rivelazioni.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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