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Afghanistan: evacuata Bagram, via gli americani, i talebani avanzano

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 03/07/2021

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Questa volta, se ne stanno davvero andando. Anzi, se ne sono già andati da Bagram, la base aerea che per quasi vent’anni è stata il fulcro della presenza militare Usa in Afghanistan: tutte le truppe Usa e Nato hanno lasciato l’installazione situata una cinquantina di chilometri a nord di Kabul. Molti militari americani saranno a casa per il 4 luglio, l’Independence Day.

L’evacuazione di Bagram significa che il ritiro completo delle forze internazionali dall’Afghanistan è imminente: sono già partiti tutti gli italiani, tutti i tedeschi; gli americani verranno via tutti, tranne 650 che resteranno a proteggere le rappresentanze diplomatiche.

“Tutte le forze della coalizione hanno lasciato Bagram”, hanno riferito fonti militari ai media Usa, senza specificare quando l’abbandono della base è stato completato. La notizia è stata commentata con favore dai talebani, che “appoggiano” la partenza dall’Afghanistan delle truppe Usa e Nato, perché “il loro completo ritiro consentirà agli afghani di decidere da soli il loro futuro”.

Fonti locali riferiscono all’Ap di razzie e saccheggi negli edifici di Bagram evacuati, prima che le forze afghane ne prendessero il controllo.

Nel Paese, invaso dopo gli attacchi terroristici dell’11 Settembre 2001, perché il regime dei talebani offriva ad al Qaida santuari dove addestrarsi indisturbata, gli stati d’animo sono, però, diversificati: vent’anni dopo, oltre mille miliardi di dollari spesi, circa 250 mila vite perdute, l’Afghanistan non è una democrazia stabile e non ha un governo solido. Le truppe occidentali se ne vanno senza potere dire ‘missione compiuta’, nonostante i circa 7000 caduti americani – 53 i morti italiani, 723 i feriti -.

Fonti di stampa riferiscono di una corsa ad armarsi da parte di civili che temono che i talebani, profittando anche delle divisioni nella compagine governativa, tornino al potere. Ricevendo la scorsa settimana alla Casa Bianca il presidente afghano Ashraf Ghani, il presidente Usa Joe Biden gli ha detto: “Ce ne andiamo, ma il nostro appoggio resta” – 4 miliardi di dollari l’anno fino al 2024 per le forze regolari -. E Washington rinnova gli appelli, finora inascoltati, per “seri negoziati” tra il governo e i talebani, che hanno tutto l’interesse ad aspettare così da divenire padroni del campo.

Il generale Austin S. Miller, comandante della missione in Afghanistan, ammonisce che il Paese potrebbe avviarsi verso una caotica guerra civile con più attori in campo – ‘lealisti’ e talebani, ma anche miliziani dell’Isis, terroristi di al Qaida, tagichi e uzbechi al Nord -. Miller prepara raid aerei, se i talebani non fermeranno l’offensiva con cui hanno già ripreso circa 100 centri distrettuali.

L’avanzata degli ‘studenti’, anche al Nord, è rapida, favorita dalla diserzione di reparti governativi che si uniscono a loro, mentre miliziani senza particolare addestramento li contrastano su base etnica o territoriale.

In settimana, la Camera di Washington ha approvato in modo bipartisan una misura per accelerare l’iter della richiesta di visto speciale per gli afghani che rischiano la vendetta per avere collaborato con le forze Usa. In gioco c’è la sorte di circa 18 mila tra interpreti, traduttori, autisti e altre figure professionali. A volte i tempi di attesa sono lunghi anni ma Biden promette che nessuno “sarà dimenticato”: la sua Amministrazione sta mettendo a punto un piano per evacuarli in territori statunitensi o in Paesi terzi sicuri in attesa che le richieste di visto siano vagliate.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche. Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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