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2019: cammei di un anno, Trump e al-Baghdadi

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/12/2019

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Trump e l’impeachment
Che Donald Trump finisca ‘impeached’ e debba lasciare con ignominia la Casa Bianca, prima del termine del suo mandato, è ipotesi remota, al tramonto del 2019 e all’alba del 2020: il Senato lo giudicherà, probabilmente a gennaio, e lo assolverà, perché questo è un processo politico, non giuridico. La Camera, dove i democratici sono maggioranza, lo ha rinviato a giudizio per abuso di potere e ostruzione alla giustizia; il Senato, dove i repubblicani sono maggioranza, non lo condannerà e cercherà di mettere sul banco degli imputati i democratici che lo hanno inquisito.

L’impeachment era nell’aria dall’inizio della presidenza, anzi dalla notte in cui Trump fu eletto presidente, percepito come un ‘usurpatore’ perché il verdetto dei Grandi Elettori contraddiceva quei tre milioni di voti popolari in più andati a Hillary Clinton. I democratici hanno prima testato per 30 mesi la via del Russiagate, rivelatasi un vicolo cieco anche perché il procuratore speciale Robert Mueller traccheggiava (non lo rinvio a giudizio, ma non lo assolvo); poi in 30 giorni si sono buttati a corpo morto nell’Ukrainagate. Dove Trump ha certamente fatto tutte le male azioni che gli vengono contestate, ma che non eccita i cuori e non scandalizza le menti.

E, così, l’impeachment tentato e non riuscito potrebbe diventare un boomerang per i democratici e rivelarsi un trampolino di lancio per il presidente verso la rielezione a Usa 2020 il 3 novembre.

 La fine del Califfo
Vi sono personaggi che occupano a lungo le cronache con violenza e virulenza; e poi finiscono in un cono d’ombra da cui escono solo con un lampo di luce alla loro morte. Abu Bakr al-Baghdadi, ultimo nome noto dell’auto-proclamato Califfo, votatosi all’integralismo in un carcere militare Usa in Iraq, stava nel cono d’ombra da quasi due anni, cioè dopo la disfatta territoriale del suo sedicente Stato islamico, l’Isis, la perdita di Raqqa, la capitale, la presa di Baghouz, l’ultima roccaforte.

Nella notte tra il 26 e 27 ottobre, un commando militare Usa, informato da una talpa che intasca 25 milioni di dollari, lo stana a Barisha, nel nord-ovest della Siria, vicino a Idlib, a 5 chilometri dalla frontiera turca: il califfo si fa saltare in aria innescando una cintura esplosiva, con un figlio. Nel blitz, durato circa due ore, sarebbero state uccise pure due delle mogli e numerosi miliziani.

Donald Trump lo dileggia, “E’ morto come un vigliacco”. E posta una foto di lui e del suo staff che seguono in diretta la fine del Califfo. Ma è un falso, una messa in scena: la foto è stata presa a cose fatte, tutti in posa a guardare la telecamera. Nessuno parla più di come è morto il Califfo, ma dell’ennesimo trucco del magnate e showman.

La stessa notte, in un’altra operazione, viene ucciso Abu Hassan al-Muhajir, il portavoce dell’Isis. Che di lì a poco si dà un nuovo Califfo, Abu Hamzaal-Quraishi.

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Giampiero Gramaglia, nato a Saluzzo (Cn) nel 1950, è un noto giornalista italiano. Svolge questa professione dal 1972, ha lavorato all'ANSA per ben trent'anni e attualmente continua a scrivere articoli per diverse testate giornalistiche.Puoi rimanere connesso con Giampiero Gramaglia su Twitter

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