La Corea del Nord ha fatto saltare in aria l’ufficio di collegamento con la Corea del Sud a Kaesong, la città più meridionale in territorio nord-coreano, vicina al confine e sede di attività economiche sud-coreane. Nell’edificio in vetro e acciaio di quattro piani, funzionari delle due Coree avevano fino a poco tempo fa lavorato fianco a fianco.
Da settimane, Pyongyang minacciava di porre un termine alla distensione con Seul avviata due anni e mezzo or sono, prima delle Olimpiadi invernali del 2018 a Pyeongchang nella Corea del Sud.
Il processo aveva fatto da apripista ai successivi incontri al vertice tra Corea del Nord e Stati Uniti, a Singapore nel giugno del 2018 e ad Hanoi nel febbraio del 2019, oltre che all’incontro sul confine di Panmunjom fra le due Coree a fine giugno 2019 fra i presidenti Kim Jong-un e Donald Trump, presente e mallevadore il presidente sud-coreano Moon Jae-in.
Proprio la frustrazione nord-coreana perché quegli incontri non hanno avuto alcun seguito potrebbe essere all’origine dell’inasprimento dei toni fra Pyongyang e Seul nelle ultime settimane. Kim e sua sorella Kim Yo-Jong, che avrebbe un peso crescente nelle decisioni nord-coreane, mandano messaggi a Trump via Moon: senza un alleggerimento delle sanzioni, niente denuclearizzazione della penisola. Una prova di forza; o di debolezza: la situazione economica interna nord-coreana sarebbe disperata.
La notizia della distruzione dell’ufficio di collegamento, avvenuta alle 14.49, ora locale, è stata confermata dal Ministero dell’Unificazione sud-coreano, citato dall’agenzia Yonhap. Anche l’agenzia di stampa di Pyongyang, la Kcna, ha segnalato l’avvenuta “completa distruzione” dell’edificio.
La Corea del Nord ha tagliato “tutte le linee di comunicazione” con la Corea del Sud, dice la Kcna: un atto che testimonia “lo stato d’animo dell’infuriato popolo nord-coreano”. La tv di Stato mostra manifestazioni di massa di giovani ben inquadrati. Una studentessa dichiara: “Lascio l’Università per andare a difendere il mio Paese”. Che non risulta sotto attacco.
L’ufficio di collegamento era stato aperto nel 2018 come primo canale di contatto permanente e personale fra le due Coree ed era gestito da funzionari dei due Paesi. L’iniziativa rispecchiava il clima di collaborazione fra i due Paesi creato dagli incontri fra Kim e Moon, nella prospettiva di avviare una vasta cooperazione economica.
Nessun funzionario sud-coreano vi era più stato, però, da gennaio, quando l’ufficio chiuse causa pandemia.
Tecnicamente, le due Coree sono ancora in guerra, perché non è stato concluso un accordo di pace alla fine del conflitto nel 1953. Per Seul, l’ufficio era un passo avanti importante verso la chiusura di decenni di inimicizia fra i due Paesi: c’era la speranza era che potesse preludere allo stabilimento di missioni diplomatiche nelle rispettive capitali.
Ma da allora le relazioni fra le due Coree si sono inacidite. Da qualche settimana, Pyongyang aveva messo nel mirino della sua retorica bellicosa l’ufficio di collegamento: il 5 giugno aveva minacciato di chiuderlo; il 9, aveva tagliato tutte le linee di comunicazione con la Corea del Sud, compresa quella che passava per l’ufficio. Il Nord voleva “eliminare radicalmente tutte le vie di contatto e liberarsi di tutte le cose non necessarie”.
Kim Yo Jong, oggi forse la persona più influente su Kim Jong-un, aveva un piano per distruggere “l’inutile ufficio di collegamento tra Nord e Sud, che potrebbe presto finire in macerie”. E così è stato: la coincidenza fra le parole di Kim e quanto avvenuto sembra confermare il peso acquisito dalla giovane – ha 32 anni – nelle decisioni nord-coreane.
Ufficialmente, a fare infuriare Pyongyang è stata una campagna di propaganda anti-comunista condotta da attivisti ed esuli, che facevano volare oltre confine con l’ausilio di palloni volantini anti-Kim. Per preservare il processo di distensione, la Corea del Sud era pronta a porvi termine, varando una legge per renderlo fuorilegge. Ma l’escalation della Corea del Nord non s’è arrestata: ha definito il Sud “un nemico” e ha minacciato di rimandare lungo le confine – il più militarizzato al mondo – le truppe che ne aveva ritirato. Se attuata, la mossa riporterebbe la penisola vent’anni indietro, a prima degli incontri fra i leader dell’epoca il padre di Kim, Kim Jong-il, e il presidente Kim Dae-Jung, gli ideatori della Sunshine Policy.